unitaPur essendo nato nel 1937 ad Altavilla Vicentina, Imerio Massignan, quotato personaggio del ciclismo italiano, per origini della moglie, dal 1977 si è stabilito a Silvano d’Orba dove ha messo salde radici. Nella sua esistenza il corridore vicentino ha “macinato” in bicicletta oltre 600.000 chilometri ed altri continua a percorrerli anche ora che è pensionato.

Massignan iniziò la carriera come Esordiente nella Lane Rossi di Schio, passò poi Allievo e Dilettante con il Velo Club Vicenza prima di spingere sui pedali come Professionista nel 1959 con la Legnano.

“Con la Legnano rimasi fino al 1963” - dice l’ex corridore nella sua profonda cadenza veneta - “poi l’anno seguente mi trasferii alla Carpano, nel 1965 andai all’Ignis, quindi nel ’66 alla gloriosa Bianchi, alla Vittadello nel ’67, con Adorni nel ’68 alla Salamini Luxor per chiudere con il biennio 1969 - ’70 alla G.B.C.”.

Imerio Massignan non era uno che vinceva spesso, il suo palmares parla di 15 vittorie tra Esordienti ed Allievi, 6 da Dilettante, e questo perché lo rimase solo per quattro mesi, mentre tra i Professionisti colse 5 successi tra cui il clou avvenne al Tour de France a Superbagneres nel 1961 quando, a tre chilometri dalla vetta, mollò lo sparuto gruppetto di big con cui stava scalando il Colle.

 “Tutti nella vita abbiamo da recriminare qualcosa, io per esempio un anno, nel 1962, sono arrivato 2° al Giro d’Italia e rimango più che certo di non massignanaverlo vinto perché non avevo a disposizione una squadra all’altezza”.

Nella sua lunga carriera Massignan prese parte a ben 11 Giro d’Italia ed oltre ad un secondo posto vanta due quarti come migliori piazzamenti, ottenuti proprio agli esordi nel 1959 e ’60.

Proprio nel Giro edizione 1960 Massignan solitario transitò in testa sul Gavia nella prima volta in cui la “Corsa Rosa” vi si arrampicava, segno che il ragazzo aveva della stoffa e non si trattava di avanzi di magazzino della sua squadra da Esordiente, la Lane Rossi, marchio tessile che per anni ha legato il proprio nome con la società calcistica di Vicenza.

Al termine di quella durissima tappa, e dopo ben tre forature, Imerio giunse al traguardo alle spalle del vincitore, il lussemburghese Charly Gaul.

“Sono stato anche quattro volte al Tour de France e per tre volte ho vinto la Maglia a Pois per il G.P. della Montagna, mentre per l’edizione del ’63, l’ultima a cui ho partecipato, mi è sfuggita per un solo punto. Nel 1960 e nel ’61 ho vinto una tappa nel Tour e come classifica generale, proprio nel ’61, ho ottenuto il mio miglior piazzamento giungendo appena sotto il podio”.

Il corridore veneto, grazie alla sua generosità in gara ricevette anche il giusto riguardo da parte dei tecnici della Nazionale e per tre volte fu chiamato a vestirsi di Azzurro ai Campionai del Mondo Professionisti dove in una occasione, nel 1960, in Germania si classificò al quarto posto.

“Il ciclismo è uno sport molto bello a vedersi, faticosissimo invece per chi lo pratica con un certo impegno come è stato nel mio caso. Se non stai attento a come ti alimenti in gara sei finito e le penalizzazioni che il corpo ti può infliggere sono devastanti. Nella tappa del Giro del ’61, quando si scalava lo Stelvio, mi prese una tremenda crisi di fame che mi costò parecchio sia sul lato fisico che come prospettiva di vittoria finale. Eravamo, infatti, in quattro nell’arco di tre minuti in classifica generale prima del via della tappa! Nella mia carriera ho avuto modo di pedalare anche con Coppi nella sua ultima stagione agonistica, ma ormai faceva solo gare in linea, e poi un nome che ricordo volentieri è quello di Jacques Anquetil, un francese, grandissimo campione, vero gentiluomo, per me un grande amico in corsa e anche fuori da quell’ambito. Di Merckx, detto “Il Cannibale” confermo che questo nome gli stava proprio a pennello, ma lui era uno che si impegnava al massimo nelle gare, proprio in tutte, anche nelle Kermesse voleva vincere, però bisogna riconoscergli che facendo così dava sempre spettacolo ed onorava il pubblico presente nelle varie manifestazioni.

Erano tempi in cui ho visto pedalare grandi campioni per davvero e gli “aiuti” per il fisico non erano certo quelli di oggi, dove troviamo dieci big, poi una ventina di discreti corridori che però vincono e poi c’è quel 70% di ciclisti che guadagnano pochissimo e magari, pur di fare il Professionista, sono pagati in nero al contrario, cioè rendono indietro una parte del minimo gabellare stabilito di stipendio. Poi vorrei dire la mia anche sul doping, diventato uno spietato strumento sulla pelle di tanti, troppi giovani, presente anche nella categoria Allievi. Premesso che venire seguito da un medico è importantissimo, e detto che “questo” doping fa davvero paura, credo che solo un purosangue può doparsi, l’asino, anche se si bombarda, rimane pur sempre un mediocre”.